Buongiorno. Dopo quasi tre mesi di proteste di piazza represse nel sangue, la «polizia morale» iraniana (la Gasht Ershad, qui raccontata da Andrea Nicastro) responsabile dell’arresto e della morte, a metà settembre, della 22enne Mahsa Amini — «colpevole» di indossare male il velo islamico — è stata sciolta «da chi l’aveva creata». Chi l’avesse creata, però, nessuno oggi ha il coraggio di dirlo. «Non è parte della magistratura, non è parte della polizia... Nessuno vuole prendersi la responsabilità: e questo mostra quanto sia debole il regime . Non può decidere su uno dei suoi stessi organi. È una delle cose più folli che abbia mai sentito» dice, a Viviana Mazza, Azar Nafisi, autrice del bellissimo Leggere Lolita a Teheran . Proprio Nafisi, però, offre una chiave di lettura sul caos che regna ai vertici della Repubblica islamica: Khamenei (la Guida Suprema, ndr) dovrebbe avere l’ultima parola e, in molti casi, va all’estremo usando ogni mezzo possibile per cementare il regime, ma c’è un disaccordo interno che è fonte di debolezza. Nel regime vedo due tendenze estreme nel modo di reagire a queste proteste degli ultimi due mesi: uno consiste nel negare la propria responsabilità o anche atteggiarsi a opposizione, l’altro di adottare la linea della repressione più dura come se i manifestanti fossero corpi estranei all’Iran. Queste contraddizioni indeboliscono il regime. In teoria Khamenei ha il potere, ma nell’azione concreta non sappiamo chi ce l’abbia e, in rami diversi, le persone agiscono in modo diverso . Nafisi spiega anche — partendo proprio dalla questione del velo islamico (hijab ), perché ai suoi occhi, e agli occhi delle migliaia di ragazze e ragazzi che in queste settimane sono scese in piazza (nella foto in apertura, una protesta a Teheran ) a rischio del carcere e della vita, il regime sia irriformabile : È troppo tardi per fingere che ci sarà qualche tipo di riforma all’interno del sistema . E il governo ha fatto dell’hijab il suo problema centrale. Lo hanno fatto loro. Sono loro che hanno sostenuto che, se le donne girano per strada vestite come vogliono, significa che il regime è finito. E adesso è ciò di cui hanno paura. Non possono fare le riforme. Come faranno? Se domani dicessero “niente più hijab” e “niente più polizia della morale” significherebbe niente più Repubblica Islamica . È vero che se viene abolita è una sorta di vittoria, ma non è quello che i manifestanti stanno chiedendo. Non dicono di abolirla o di essere più flessibili sull’hijab. Dicono: “Non vi vogliamo” . Il che spiega anche perché Marta Serafini scriva di «un’apertura di facciata non certo sufficiente a fermare quella che gli attivisti definiscono una vera e propria rivoluzione». Le dimostrazioni indette da oggi a mercoledì ne saranno, con ogni probabilità, la prova. È l’inizio della fine per il regime khomeinista portato al potere dalla rivoluzione del 1979? Nafisi sembra esserne convinta: Lo scontro con il regime è legato al fatto che i manifestanti non vedono alcun futuro per se stessi nel sistema. Hanno bisogno di un nuovo sistema nel quale poter creare il proprio futuro . Ed è per questo che lo slogan è “Donne, vita — dicono vita: non una cosa politica — e libertà”. È troppo tardi . L’Ucraina e le parole del Papa Oltra a quello iraniano, continua anche il dramma ucraino. L’inviato Lorenzo Cremonesi continua a raccontarel’assedio di Bakhmut , a nord di Donetsk, in Donbass. Dove è arrivato il gelo, ma il sole favorisce l’intensificarsi dei bombardamenti russi: «Da oltre una settimana i loro tiri sono continui, massici, e aumentano di giorno in giorno, sparano con tutto ciò che hanno a disposizione », ripetono quasi con le stesse parole civili e militari. Ieri la strada principale a due corsie che da Kostyantynivka porta a Bakhmut poteva essere percorsa solo con i blindati, o comunque ai posti di blocco la sconsigliavano caldamente alle auto civili. Ma anche tra i villaggi affacciati sulle vie secondarie cresce il timore che lo sbarramento di fuoco possa interrompere il traffico. I comandi ucraini accusano inoltre Mosca di avere sparato dai droni granate K-51 alla cloropicrina, un agente chimico dell’epoca sovietica vietato dalle Convenzioni di Ginevra contro le armi non convenzionali . Alcuni artiglieri ucraini incontrati dall’inviato del Corriere hanno anche accusato l’Italia di aver fornito loro armamenti vecchi e sorpassati . Sulla guerra in Ucraina, il Corriere di oggi pubblica anche le parole di papa Francesco , dall’introduzione al libro Un’enciclica sulla pace in Ucraina , in uscita per TS edizioni — curato dal vaticanista del Fatto Quotidiano Francesco Antonio Grana — che raccoglie gli interventi del pontefice sul conflitto in Europa. Ecco alcuni passaggi: La guerra in Ucraina, già alla vigilia del suo inizio, ha interrogato ciascuno di noi. Dopo gli anni drammatici della pandemia, quando, non senza grandi difficoltà e molte tragedie, stavamo finalmente uscendo dalla sua fase più acuta, perché è arrivato l’orrore di questo conflitto insensato e blasfemo , come lo è ogni guerra? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra giusta? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra santa? (...) A quante altre tragedie dovremo assistere prima che tutti coloro che sono coinvolti in ogni guerra comprendano che questa è unicamente una strada di morte che illude soltanto alcuni di essere i vincitori? Perché sia chiaro: con la guerra siamo tutti sconfitti ! Il limite sui pagamenti con il Pos Nella politica italiana, la notizia del giorno è, invece, la «frenata» di Giorgia Meloni sulla soglia di 60 euro , al di sotto della quale gli esercenti avrebbero diritto di rifiutare pagamenti con carte, pretendendo i contanti. «Quella di 60 euro è indicativa, per me può essere anche più bassa . C’è un’interlocuzione con la Commissione Ue. Vedremo», ha detto la premier, inaugurando la sua rubrica social «Gli appunti di Giorgia». Questa, invece, l’argomentazione che ha usato per difendere l’innalzamento a 5 mila euro del tetto ai pagamenti in contanti : «Per paradosso, più è basso il tetto al contante e più si rischia l’evasione, perché i contanti io posso averli in casa per svariati motivi e, se non li posso spendere legalmente, tenderò a farlo in nero». Vedremo se troveranno il ragionamento convincente a Bruxelles, dove pare ci siano timori di una marcia indietro del governo italiano sulla lotta all’evasione fiscale , il cui contrasto era invece uno degli impegni legati all’erogazione dei miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). A proposito di conti, Federico Fubini pronostica che, da parte dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), oggi in audizione alla Camera, «non ci sarà alcuna critica dai toni marcati , anche perché gli obiettivi di bilancio appaiono cauti e sostenuti da coperture che non presentano molti più problemi rispetto ad altre occasioni del recente passato. Ma potrebbe fare una serie di osservazioni sulla legge finanziaria : sia sul merito delle politiche, sia sugli effetti di alcune delle misure, sia sulle prospettive del debito». Questi, a suo avviso, i possibili punti critici: Una soglia alzata a 5 mila euro sull’uso del contante non ha correlazione diretta con la repressione nell’evasione ovunque in Europa, ma in Italia senz’altro in questi anni un tetto più basso ha aiutato a ridurla . Per la «flat tax» al 15% sulle partite Iva sui redditi fino a 85 mila euro, l’Upb non eccepisce in sé ma ha un dubbio: se il governo intende allargare il sistema di imposte cedolari del genere, come a volte si ripete, allora andrà rivisto e ristretto il perimetro della spesa e dei servizi pubblici . Infine l’aspetto più delicato. Sembra esserci una probabilità superiore al 50% che il debito pubblico nel 2023 non riesca a calare , invece di segnare la discesa dal 145,7% al 144,6% del prodotto interno lordo come previsto dal governo. Il motivo non sarebbe nelle coperture della manovra, ma nel fatto che la crescita nominale del prodotto dell’Italia (cioè crescita reale più inflazione) forse è sovrastimata dal governo per l’anno prossimo . Movimenti dentro i partiti Sulle note di Bella ciao , è arrivata ieri, come previsto, la candidatura di Elly Schlein alla segreteria del Partito democratico, per la quale la vicepresidente della Regione Emilia Romagna sfiderà il suo attuale «superiore» Stefano Bonaccini. «Sento un buon vento, la possibilità di farcela è alta — ha detto Schlein —. Non siamo una corrente nuova, siamo un’onda. E se lo facciamo insieme io ci sono, non mi tiro indietro. Costruiamo insieme questa candidatura, per dimostrare che io posso-diventare-la-segretaria-del-nuovo-Partito democratico!». Il sindaco di Firenze, Dario Nardella , ha però deciso di appoggiare Bonaccini e in un’intervista a Maria Teresa Meli, dice: «Io credo che il nuovo segretario e il nuovo gruppo dirigente debbano essere scelti non in base al genere ma in base alle capacità e alla credibilità . Detto ciò, con Stefano stiamo già lavorando a un comitato promotore con molte donne capaci e giovani. Quanto alle correnti, noi al congresso candidiamo alla guida del Pd una classe dirigente che viene dai territori, nuova, stimata dai cittadini e pragmatica. Non mi stupisce che i capicorrente abbiano scelto altri». I toni sembrano dare ragione a quel che ha scritto Francesco Verderami sul Corriere di sabato: «Il primo compito che toccherà al futuro segretario del Pd non sarà riuscire a competere con il centrodestra ma tenere unita la sinistra . Più che una missione sembra un’impresa». Claudio Bozza segnala, peraltro, acque agitate anche nella Lega . Il candidato di Matteo Salvini alla segreteria provinciale di Varese, Andrea Cassani , ha vinto di appena 12 voti, mentre a Brescia ha prevalso Roberta Sisti ,ex salviniana che ha cambiato rotta dopo il tonfo elettorale alle Politiche, spostandosi su posizioni bossiane. «La battaglia politica, specie dopo la sfida lanciata a Salvini da Bossi con il Comitato Nord, è solo agli inizi», prevede Bozza. Volendo, si può prendere nota anche dell'aria di divisioni e scomuniche dentro Italexit di Gianluigi Paragone . Maltempo e dissesto Nessuna vittima, ma danni ingenti per la nuova ondata di piogge e maltempo , soprattutto in Puglia, Calabria e Sicilia. Più un piccolo maremoto a Stromboli, dopo una scossa di magnitudo 4.6, con epicentro a sud di Vulcano. «Si sono concentrati diversi eventi — ha detto Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile, che ha convocato l’unità di crisi —. Per fortuna sono stati tutti gestibili, ma il vero problema è quello della fragilità del nostro Paese ». Da questo punto di vista, preoccupa quel che denuncia Fabio Savelli: l’Italia non ha finora speso un solo euro dei 2,5 miliardi previsti nel Pnrr per interventi contro il dissesto idrogeologico. Come scrive il direttore del Corriere , Luciano Fontana, rispondendo a un lettore, in Italia c’è «assenza di una cultura della prevenzione. Latita il senso di responsabilità : fino a quando non arriva il disastro, le buone pratiche vengono messe in secondo piano rispetto ad altre più utili elettoralmente». Le altre notizie • La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ieri ha illustrato, in un discorso pronunciato al Collegio d’Europa di Bruges, la proposta di un fondo sovrano Ue per finanziare la transizione verde e consentire all’industria europea di restare competitiva nei confronti di quella statunitense . E regole Ue sugli aiuti di Stato «adattate» e «semplificate» per facilitare gli investimenti pubblici, facendo però attenzione a preservare l’integrità del mercato unico. È la strategia che l’Unione intende mettere in campo per fronteggiare l’Inflation Reduction Act da 369 miliardi di dollari voluto Joe Biden , che «sta sollevando preoccupazioni» in Europa per il rischio che «porti a una concorrenza sleale». • Sda Bocconi , nome storico tra le scuole di management , scala le classifiche europee (nello specifico, quella stilata dal Financial Times ). Sale dal quinto al quarto posto superando la Iese di Barcellona, finita in sesta posizione. E si lascia alle spalle realtà come la svizzera University of St Gallen e la Esmt di Berlino. Accorciando le distanze dalla London Business School (seconda), dalla Hec (prima) e dalla Escp (terza), due delle grandi business school francesi. La promozione della Sda Bocconi, scrive Daniela Polizzi, è un po’ anche quella del «sistema Italia», perché «attraverso la school of management dell’Università Bocconi si forma la classe dirigente che ha tra le missioni quella di rendere le imprese più internazionali ». • La Tunisia fa un passo avanti in più verso la laicità dello Stato . La novità è rappresentata da un matrimonio civile avvenuto a Tunisi lo scorso 8 novembre in cui per la prima volta ad officiare la cerimonia non c’era il solito iman ma una funzionaria dello Stato civile. Come se non bastasse gli sposi avevano scelto due donne come testimoni . Un fatto senza precedenti in un Paese islamico. E, infatti, la notizia ha fatto infuriare gli integralisti islamici che vi hanno visto un oltraggio alla Sharia, che — secondo alcune interpretazioni — equipara la testimonianza di una donna a metà di quella di un uomo. Il dibattito si è spostato sui social dove, però, sono stati molti di più gli interventi favorevoli all’iniziativa perché avalla in modo concreto la parità di genere che la Tunisia a parole persegue. • L’India dei poveri piange perché ha perso il suo cantore e paladino, Dominique Lapierre , morto a 91 anni. Piangono anche i lettori de La città della gioia , che ebbero la vita sconvolta da questo libro uscito nel 1985 dedicato agli ultimi della terra, gli uomini cavallo di Calcutta. «Non pochi ragazzi, anche in Italia, dopo averlo letto decisero di dedicarsi al volontariato o si iscrissero a Medicina con il progetto di aiutare il prossimo», ricorda Dino Messina. I big in gara a Sanremo Amadeus, che condurrà la kermesse, ha annunciato ieri i 22 big in gara alla prossima edizione del Festival di Sanremo . Si va da nomi amati dai giovanissimi al ritorno di vecchie glorie. Ma, per non far torto a nessuno, vi rimandiamo a quel che scrive Andrea Laffranchi. I Mondiali di calcio Francia e Inghilterra sono le prime due nazionali a passare ai quarti del Mondiale in Qatar. La squadra di Deschamps, trascinata da un incontenibile Kylian Mbappé , ha liquidato la Polonia per 3 a 1, mentre gli inglesi di Southgate hanno eliminato il Senegal con un 3 a 0. Oggi tocca a Giappone-Croazia (ore 16) e Brasile-Corea del Sud (ore 20). L’inchiesta Juve «Lì ormai son diventati talmente esperti a fare i trucchetti», dice al telefono l’ad Maurizio Arrivabene, parlando dell’area finanza Juve. Frasi «illuminanti», chiosano il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello, che coordinano l’inchiesta sui conti bianconeri . Dunque, non c’era solo la firma di Fabio Paratici dietro l’abuso delle plusvalenze : «Si è trattato di una decisione aziendale complessiva, imposta e condivisa dai vertici», scrivono i magistrati, nella richiesta di misure (respinta dal gip a fine ottobre, per difetto di esigenze cautelari). «Non è che Paratici si svegliava la mattina e diceva: oggi voglio fare una bella plusvalenza!», sbottò lui stesso. Tutti sapevano — sottolinea la Procura — a partire dal presidente bianconero, Andrea Agnelli : «Le “manovre correttive” in questione sono “manovre illecite” e Agnelli è pienamente consapevole di questo». Da leggere e ascoltare Il Dataroom di Milena Gabanelli e Massimo Sideri sul ponte sullo Stretto di Messina, che non si è mai fatto ma è costato già 1,2 miliardi”. L’approfondimento di Margherita De Bac sull’influenza «australiana» , che sta già colpendo molti italiani. Il ritratto d’autore di oggi: Gérard Depardieu visto da Aldo Cazzullo. L’intervista di Candida Morvillo a Rita Rusic . Quello tra soldi e politica è da sempre un rapporto complesso. Lo dimostrano le oltre 700 pagine del registro dei finanziatori dei partiti, depositato e aggiornato per legge presso la Camera. Claudio Bozza se lo è studiato per raccontarci (oggi nel podcast Corriere Daily, che potete ascoltare qui) quali organizzazioni politiche hanno raccolto più fondi (e da chi) nel 2022. Mentre la professoressa Francesca Biondi, docente di Diritto costituzionale all’Università di Milano, spiega come funziona questo sistema (decisivo per la democrazia) e come è cambiato negli anni. Nel terzo episodio di Tech.Emotion, la serie podcast dedicata a come sbloccare il potenziale italiano nel mondo (si ascolta qui), si parla di presente e futuro dell’enogastronomia Made in Italy : gli ospiti sono lo chef stellato Andrea Berton e Cristina Nonino, distillatrice e imprenditrice che lavora nell’omonima impresa di famiglia, nota nel mondo per le sue grappe. Grazie per aver letto Prima Ora e buona settimana Qui sotto trovate alcuni approfondimenti (Questa newsletter è stata chiusa alle 2. In sottofondo, le Quattro stagioni di Vivaldi eseguite da Janine Jansen )
Caro Direttore, a cavallo fra ottocento e novecento Giustino Fortunato definì alcune terre meridionali «uno sfasciume pendulo sul mare»: se osserviamo una carta fisica dell’Italia ci rendiamo conto che la definizione può estendersi a tutta la Penisola che — se non «pendula» sul mare — è comunque «aggettante» su vallate o valloni attraversati da fiumi e corsi d’acqua di minore portata ma, ogni anno, ingrossati dalle piene autunnali ed invernali. Sul dissesto idrogeologico, sulle frane, sull’abusivismo edilizio più o meno tollerato da sindaci di tutti i colori, in questi giorni si scrive e si dibatte molto, ma di fiumi ed esondazioni ora non si discute, poi lo si farà alla ennesima tragica notizia . Ma gli alvei dei fiumi chi li pulisce? Di chi è la competenza? Dei Comuni? Hanno le risorse tecniche e finanziarie? La gran parte dei piccoli comuni dell’Appennino e delle Vallate alpine si affaccia da millenni su valloni (a volte tombati da successivi interventi pubblici) perché fino a un secolo fa i corsi d’acqua venivano deviati in piccole condotte «forzate» per muovere frantoi e mulini: l’unica forza motrice era l’acqua dei torrenti! Resta un’unica possibilità di rimuovere i detriti alluvionali dal greto dei torrenti e dai fiumi per prevenire i tracimamenti. I soldi sprecati a posteriori potrebbero essere impiegati direttamente dallo Stato (non dagli enti locali perché non riescono a spenderli) per assumere qualche migliaio di vigili del fuoco specialisti in dragaggio dotandoli di idonee attrezzature (in parte già presenti nelle loro rimesse) e impiegandoli in una capillare opera di pulizia . Vito Pindozzi Caro signor Pindozzi, il suo ragionamento è corretto e pieno di buon senso. Ma il buon senso in Italia non va di moda . Intanto aiuterebbe a rispondere a questa domanda: perché, in proporzione, spendiamo un euro per la prevenzione a fronte di 4 euro per rimediare ai danni e affrontare le emergenze? E ancora: sappiamo che se gli alvei non vengono ripuliti l’acqua e il fango esondano travolgendo e distruggendo tutto quello che c’è intorno. Ne erano consapevoli anche tutti coloro che a Ischia avevano dovuto affrontare le precedenti tragedie. Perché sono rimasti immobili salvo parlare degli alvei a tragedia avvenuta? Lo stesso discorso vale per tutti gli altri aspetti: prevenzione delle frane, abusivismo edilizio, difesa delle coste . Credo che la questione non sia solo della mancanza di finanziamenti (che quando ci sono spesso non vengono neppure spesi) ma dell’assenza di una cultura della prevenzione. Latita il senso di responsabilità : fino a quando non arriva il disastro, le buone pratiche vengono messe in secondo piano rispetto ad altre più utili elettoralmente. Ci sono poi la burocrazia, il rimpallo delle responsabilità, l’assenza di un’indicazione chiara su chi deve prendere le decisioni. Lei suggerisce di affidare tutto ai vigili del fuoco, un corpo dello Stato, che lavora benissimo. È un’idea. Penso che il punto decisivo sia capire che l’emergenza ambientale è la vera priorità : bisogna organizzare un sistema chiaro, con responsabilità ben definite, che si occupi di prevedere e intervenire con cura prima che sia tardi.
Nove mesi di guerra hanno rafforzato in Occidente il progetto di ridurre la nostra dipendenza economica da potenze antagoniste o rivali come Russia e Cina . L’idea che sia urgente riportare vicino a casa nostra molte produzioni strategiche si era già affermata durante la pandemia. Prima ancora, un clima da guerra fredda era all’ordine del giorno dall’inizio della escalation dei dazi fra Donald Trump e Xi Jinping (proseguita con Joe Biden). Di fatto è da cinque anni che una sorta di de-globalizzazione figura nell’agenda dei governi occidentali e delle nostre aziende multinazionali . Quali sono i risultati concreti, e quanta parte della ri-localizzazione può realisticamente beneficiare l’Europa, l’Italia? Il trentennio della globalizzazione ruggente fece molti perdenti nei Paesi ricchi, smantellando intere industrie e sventrando la classe operaia. Se è iniziato un percorso inverso, ci sono opportunità da raccogliere? La globalizzazione non è mai stata un fatto «naturale», il Novecento vide alte e basse maree nell’apertura delle frontiere e nella liberalizzazione degli scambi. Ma i passaggi da una fase all’altra non furono indolori. Che un divorzio dalla Cina sia all’ordine del giorno, lo conferma un’azienda simbolo del nostro tempo: Apple . Il gigante tecnologico ha sede a Cupertino nella Silicon Valley californiana ma fabbrica in Cina fino all’85% degli iPhone più recenti. Ora il suo top management vuole adeguarsi ai nuovi scenari geopolitici. Riporterà qualche attività in America, ma il grosso della produzione vuole redistribuirla tra Paesi emergenti meno antagonisti della Cina. L’obiettivo è avere il 45% della produzione in India e Vietnam , entro una data da definire. Come Apple altre imprese si stanno adattando, il «friend-shoring » o globalizzazione fra amici è entrato nei dibattiti dei consigli d’amministrazione. Non è facile però sostituire la più grande classe operaia del mondo . I cinesi nel trentennio della loro simbiosi produttiva con l’Occidente si sono guadagnati la fiducia di tante multinazionali, non solo per i salari bassi (che nel frattempo sono cresciuti). Il miracolo cinese ha avuto vari ingredienti: qualità e disciplina della manodopera e degli ingegneri; flessibilità e capacità di adattamento; una formidabile logistica appoggiata su infrastrutture moderne per raggiungere in tempi record i clienti di quattro continenti. Sono capacità che non s’improvvisano altrove, di certo non in un Paese afflitto da una pessima burocrazia come l’India, o nel Vietnam che ha appena un decimo della popolazione cinese. Inoltre se davvero inizia una ritirata di multinazionali dalla Repubblica Popolare, il governo di Pechino non starà a guardare . (Qui il seguito dell’editoriale)
Caro direttore, l’immigrazione in Italia andrebbe, una volta per tutte, affrontata con realismo pensando al bene comune , senza correre dietro ad immagini distorte o allarmistiche, per non parlare di espressioni e giudizi che aprono il campo a manifestazioni intolleranza e xenofobia. Soprattutto, andrebbe combattuta l’idea che si tratta di un fenomeno ingestibile . È la stessa realtà a smentirlo. Basta pensare che gli stranieri residenti in Italia sono circa 5 milioni e 200mila unità, vale a dire l’8,8 per cento della popolazione , persone e famiglie che, in diverse forme, contribuiscono ormai da anni alla crescita della nostra economia e al nostro gettito fiscale . Un numero che dimostra quanto sia possibile integrare chi viene da altre nazioni nel tessuto socio-economico del nostro Paese. È questa la strada maestra che occorre continuare a percorrere: la presenza regolare . Perché farebbe bene non solo agli stranieri che aspirano a vivere con dignità in un Paese in cui c’è lavoro e democrazia, ma anche agli italiani che peraltro spesso li richiedono senza riuscire a farli entrare, in assenza di strumenti che lo consentano. Infatti, secondo i dati Eurostat, per mantenere il suo livello di produttività l’Italia dovrebbe acquisire ogni anno almeno 200mila lavoratori stranieri . Perché non raggiungere o almeno avvicinarci a questa quota fisiologica anziché lasciare alla criminalità la gestione dei flussi migratori che alimentano i viaggi sulle carrette del mare e, di conseguenza, anche le troppo frequenti tragedie nelle acque del Mediterraneo? Gestire anziché farsi gestire . Alcune proposte concrete, che si possono riassumere in 5 punti , aiuterebbero a prosciugare l’irregolarità a vantaggio di tutti. Prima di tutto una revisione al rialzo del cosiddetto «decreto flussi» , cioè la quota di persone che possono entrare ogni anno per motivi di lavoro. L’ultimo, varato nel dicembre 2021, ha previsto l’ingresso di 69.000 unità allargando la platea dei candidati rispetto agli anni precedenti, ma si tratta di una cifra ancora inadeguata rispetto le esigenze. In secondo luogo: è giusto privilegiare l’ingresso ai lavoratori che provengono da Paesi con i quali l’Italia ha stipulato un accordo di cooperazione , ma ciò dovrebbe avvenire solo in modo prioritario e non esclusivo , altrimenti si preclude questa possibilità a nazionalità che hanno dimostrato un’importante capacità di integrazione e di radicamento come quella peruviana e colombiana, solo per fare due esempi, o che resterebbero nelle mani dei trafficanti di essere umani, come nel caso dell’Eritrea o di altri Paesi africani. Se si vuole davvero contrastare l’immigrazione illegale occorre che l’ingresso regolare venga visto, da chi intende migrare, come un obiettivo raggiungibile. Terzo: è giusto privilegiare alcuni settori produttivi particolarmente richiesti (come quello dell’autotrasporto , dell’edilizia e del turistico alberghiero ) ma non bisogna escludere altre professionalità come quelle che riguardano i servizi domestici o di assistenza alle persone fragili e alle famiglie, per le quali si registra una forte domanda inevasa. Quarto: stabilizzare la norma del giugno scorso (aggiuntiva al decreto flussi) che prevede di presentare la domanda di assunzione anche per i lavoratori stranieri non residenti ma presenti in Italia . In altre parole, uscendo dal linguaggio burocratico, favorire il prosciugamento degli immigrati che vivono nel nostro Paese ma che, per motivi vari, attualmente risultano irregolari. La gran parte di loro lo sono infatti solo per motivi amministrativi e non perché hanno violato la giustizia . Quinto: introdurre una quota annuale di ingressi per «ricerca lavoro» su chiamata di un «prestatore di garanzia» che assicurerebbe il mantenimento della persona per almeno un anno. Il motivo è presto detto: questo meccanismo, sia pure contingentato, permetterebbe a molti parenti già presenti in Italia di far venire alcuni familiari in modo regolare invece che clandestinamente. Cinque proposte facilmente applicabili perché in sintonia con il nostro sistema normativo e facilmente condivisibili se ci si pone di fronte al fenomeno dell’immigrazione non in modo ideologico ma con risposte concrete che favoriscono l’integrazione e, quindi, la crescita umana, sociale ed economica del nostro paese.
Il ministro Giuseppe Valditara lo definisce eufemisticamente un «dimensionamento», ma di fatto si tratta di un ri-dimensionamento, e anche molto consistente. Nel giro di dieci anni il sistema scolastico italiano «perderà» quasi 700 scuole (poco meno di una su dieci) . Lo prevede il Pnrr, ma prima ancora lo determina fatalmente il crollo demografico che, dopo aver svuotato le culle, da anni ha cominciato a svuotare anche i banchi, colpendo prima gli asili e le elementari, ora anche le medie e le superiori. Uno tsunami al contrario che da qui al 2034 è destinato a prosciugare le aule spazzando via quasi un milione e mezzo di alunni . Per questo c’è poco da sorprendersi se nella prossima legge di Bilancio è scritto che — a partire dal 2024 — le Regioni dovranno provvedere autonomamente a fare il taglia e cuci, accorpando le scuole con meno di 600 alunni (400 nei comuni montani e nelle isole). Quando si scende sotto questa soglia non è che la scuola chiuda: «si federa» semplicemente con un’altra sotto un unico preside. Se le Regioni non agiranno in proprio, sarà il governo a intervenire con l’accetta, alzando la soglia di «sopravvivenza» a 900 alunni. Naturale che presidi, insegnanti e famiglie siano preoccupati. E soprattutto le regioni del Sud più colpite dalla denatalità che finora hanno perlopiù preferito rinviare il problema. Di fronte a un fenomeno epocale come questo, viene da chiedersi se il governo non potrebbe essere più ambizioso. E invece di limitarsi a ridimensionare le scuole, non dovrebbe approfittare del calo demografico per ridimensionare finalmente anche le classi , che per legge alle superiori non possono avere meno di 27 alunni, ma spesso, soprattutto al primo anno, superano i trenta. Con effetti devastanti soprattutto sugli alunni più fragili e a rischio di abbandono . In un Paese come il nostro che invecchia a vista d’occhio, perdere anche un solo giovane per strada non è solo un peccato: è un controsenso.
Succedono cose strane, nel mondo del calcio. Sentite questa. La sera del 1° dicembre Stefano Carta — telecronista per la piattaforma Eleven Sports che trasmette in streaming la serie C — racconta l’incontro Trento-Vicenza e a un certo punto dice: «Negro, con il numero 15, attenzione a Negro!» Un istante dopo si corregge: «Greco, scusate, attenzione a Greco, non Negro». In effetti il numero 15 di cognome fa Greco. È Jean Freddy Greco, centrocampista del Vicenza, 21 anni, nato in Madagascar e adottato da una famiglia italiana. Greco è un ragazzo di colore. E ovviamente la gaffe del telecronista non passa inosservata . È giusto tenere accesa l’attenzione su possibili episodi di razzismo. Ma stavolta il razzismo non c’entra . Lui si scusa immediatamente in diretta e basta ascoltare l’audio per cogliere il suo stesso imbarazzo. Il video però fa il solito giro del Web, un senatore di Forza Italia presenta una interrogazione parlamentare ai ministri dello Sport e dello Sviluppo economico, la gaffe diventa un caso. Lui si scusa di nuovo con tutti. Ma non basta. Nell’arco di poche ore la Eleven Sports lo sospende, che in sostanza significa che lo licenzia . L’annuncio è in una nota che il Vicenza rilancia sul suo sito. La nota dice che Stefano Carta «ha confuso il cognome con un altro cognome (comunque frequente fra i club di serie C) chiaramente fraintendibile». Aggiunge che è stata «una gravissima leggerezza», comunque senza «alcuno sfondo razzista». Parla di «imperdonabile lapsus», di un collaboratore che finora ha sempre «commentato con professionalità e puntualità tante partite di serie C». E conclude: «Pur avendo compreso le sue ragioni e raccolto le sue scuse la collaborazione è stata prontamente sospesa». Quindi: è stato un lapsus, il razzismo non c’entra , lui è un bravo professionista ma noi — la nota si chiude così — abbiamo sempre «condannato qualsiasi discriminazione a difesa dei più sani valori dello sport ». E allora Freddy Greco quali valori difende quando dice: «Può capitare a tutti di sbagliare: succede a me in campo, può succedere anche fuori dal campo confondendo un nome. Speriamo di vedere Carta commentare presto un’altra nostra partita». Il suo è un appello a riassumere il telecronista dopo averlo incontrato, abbracciato, capito. Ora la palla passa a Eleven Sports. Speriamo faccia gol.
Un’amicizia cominciata con uno sgambetto. Mi trovavo nello spogliatoio del centro sportivo che frequento e un uomo vestito di tutto punto era fermo immobile, in piedi. Con uno sguardo fragile ma coraggioso, mi ha chiesto con parole non del tutto chiare: «Puoi mettere un piede davanti ai miei?». Poiché non avevo capito, me lo sono fatto ripetere. Mi sono fidato e ho fatto quanto mi chiedeva, e così è riuscito a sollevare la gamba e scavalcare l’ostacolo che gli avevo posto davanti, riuscendo a fare il passo. Non era una burla, quel gesto era necessario a un uomo affetto da Parkinson : il cervello, per obbligare la gamba a sollevarsi, a volte ha bisogno di vedere un ostacolo. Il gesto però non mi era nuovo: quando ero bambino lo vedevo fare con mio nonno che, per il Parkinson, non camminava né parlava quasi più. Per quella malattia che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle, non ho mai potuto fare una passeggiata con lui, sentirgli raccontare le storie dei nonni, ascoltarlo cantare e suonare come amava fare... Dopo l’episodio dello spogliatoio, tra me e l’uomo che mi aveva chiesto aiuto per fare un passo, è nata un’amicizia inattesa . Ecco perché. Il Parkinson, diagnosticato a 45 anni, lo ha costretto dopo qualche anno a lasciare una professione fiorente e a doversi tenere attivo con la piscina. Nei nostri rapidi incontri in spogliatoio abbiamo approfondito la conoscenza e quasi subito mi ha invitato a cena. (Il seguito sul Corriere di oggi e su Corriere.it)
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