Payback dispositivi medici, entro gennaio bisogna ripianare. Come possono tutelarsi le aziende - AboutPharma

2022-12-08 12:10:10 By : Mr. Jack Chen

Con il decreto legge 115/2022 (c.d. decreto aiuti-bis) la questione del payback dei dispositivi medici è tornata d’attualità. L’articolo 18 di tale decreto, infatti, ha dato concretamente avvio, nonché una rapida accelerazione, al procedimento volto a certificare lo sfondamento del tetto di spesa previsto per gli acquisti di detti dispositivi nel quadriennio 2015-2018. Più precisamente, con riferimento agli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, la legislazione emergenziale ha introdotto alcune regole procedurali in deroga all’art. 9 ter, comma 9, del D.L. n. 78/2015 che prevedeva che le modalità procedurali fossero definite su proposta del Ministero della Salute, con apposito accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, Regioni e Province autonome. Tale iniziativa ha generato fin da subito le reazioni di Confidustria Dm , nonché la richiesta di una strategia alternativa da parte della federazione delle aziende fornitrici.

Nel frattempo, nelle more della conversione in legge del Decreto Aiuti-bis, un’altra accelerata è stata data al payback dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 15 settembre del Decreto del Ministero della Salute con cui viene certificato il superamento dei tetti di spesa regionali per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018. Ciò comporta che entro la metà di gennaio 2023, le aziende interessate dovrebbero versare le quote di ripiano di propria competenza per il periodo di riferimento

Con la pubblicazione in G.U. del decreto, di fatto, si dà il via a una serie di scadenze che istituzioni e aziende dovranno rispettare. Le riassumiamo qui di seguito.

Ulteriore novità introdotta con il Decreto Aiuti-bis per assicurare alle Regioni e Province Autonome il ripiano riguarda la possibilità, in caso di mancato ripiano nei termini suddetti da parte delle aziende coinvolte, di compensare i debiti per l’acquisto di dispositivi medici con i crediti dell’azienda inadempiente, fino a concorrenza dell’ammontare dovuto a titolo di ripiano.

Dunque, stando alle nuove scadenze temporali, entro la metà di gennaio 2023, le aziende interessate dovrebbero versare le quote, anche milionarie, di ripiano di propria competenza per il quadriennio di riferimento, pena la compensazione di eventuali debiti-crediti. Ferme restando le evidenti criticità attuative delle misure previste connesse alle tempistiche stringenti e al numero delle Regioni coinvolte, bisogna sin da subito chiedersi quali siano gli strumenti di tutela di cui possano avvalersi le aziende del settore.

Le aziende destinatarie del payback hanno quale unico strumento di tutela la possibilità di impugnare davanti al giudice amministrativo il Decreto Ministeriale di accertamento della spesa sanitaria, le linee guida e i successivi atti, la lista delle aziende destinatarie che verrà resa nota nonché i singoli provvedimenti di ripiano che verranno adottati dalle Regioni e della Province Autonome.

La prima consiste nell’impugnazione del provvedimento di ripiano che inciderà direttamente sulla singola azienda. In questo caso l’impugnazione potrà essere proposta solo a seguito della pubblicazione del predetto provvedimento e il ricorso sarò volto a contestare il provvedimento stesso, nonché ad evidenziare eventuali errori in cui le Regioni dovessero incorrere nella determinazione dell’importo oggetto di ripiano da richiedere alle singole aziende.

Una seconda opzione, invece, è quella di censurare ancor prima con ricorso al Tar, da proporre nel termine di 60 giorni a decorrere dal 15 settembre, il Decreto Ministeriale di accertamento del superamento del tetto di spesa, contestando la legittimità stessa del Decreto, eventuali profili di incostituzionalità della norma in questione così come l’illegittima applicazione retroattiva della misura, salvo poi impugnare, con ricorso per motivi aggiunti, gli atti e provvedimenti che saranno successivamente adottati, compresi quelli destinati a incidere in via diretta sulle singole aziende.

Potrebbe essere utile percorrere questa seconda strada al fine di bloccare in radice l’adozione di successivi atti e provvedimenti da parte delle Regioni e Province autonome, già tenendo conto in questa sede della peculiarità dei diversi settori in cui le singole aziende operano, nonché delle rispettive specifiche esigenze. Nel contesto economico e politico odierno, è ragionevole pensare che più aziende si muoveranno in tal senso e meglio è per dare la giusta rilevanza alla negativa incidenza di una simile norma sul comparto sanità. Nelle more, è indispensabile che le aziende inizino a ipotizzare la cifra che sarà imputata a ciascuna di essa.

Le novità introdotte con il Decreto Aiuti-bis non fanno altro che rendere ancora più vessatoria una norma che, sin dalla sua formulazione originaria, ha ribaltato le inefficienze di gestione della spesa sanitaria a carico delle aziende del settore. Nel contesto attuale più che mai, l’accelerazione del payback rappresenta tutt’altro che un aiuto alle imprese, senza contare che si tratta di una misura che peraltro contraddice il Codice dei contratti pubblici e i principi posti a presidio della contrattazione pubblica. Si pensi ad esempio alla necessità, in sede di gara, che le basi d’asta siano congrue così come le offerte dei concorrenti o anche all’istituto della revisione dei prezzi. Regole, queste, che – tra le altre cose – verranno svilite dall’attivazione del payback.

In conclusione, il Legislatore, dopo avere già chiesto negli anni passati pesanti sacrifici alle imprese del settore attraverso la spending review, ora interviene, peraltro in un periodo economico già particolarmente complesso per le aziende, imponendo la restituzione di ingenti somme da queste riscosse a fronte della fornitura di dispositivi medici, secondo le quantità e le caratteristiche qualitative fissate contrattualmente. Ciò, per di più, senza alcuna possibilità di rinegoziazione da parte del privato, a fronte di forniture già consegnate, a causa di un superamento del tetto di spesa di cui le predette aziende non sono in alcun modo responsabili, essendo la programmazione delle forniture in sanità funzione esclusiva e propria degli enti del sistema sanitario pubblico. In sostanza, si tratta di un’ulteriore tassa che graverà, per di più, anche su quelle aziende che negli anni interessati dal payback hanno avuto un calo di fatturato.

Da molti anni ormai il legislatore si pone l’obiettivo di razionalizzare la spesa pubblica del Servizio sanitario nazionale. È in quest’ottica che nel 2011 è stato previsto che la spesa di dispositivi medici sostenuta dal Ssn fosse fissata entro un tetto massimo, sia a livello nazionale che regionale.

Nel 2015 il Legislatore ha altresì introdotto lo strumento del “payback”, prevedendo che le aziende fornitrici di dispositivi medici avrebbero dovuto provvedere al parziale ripianamento dell’eventuale sforamento del tetto di spesa regionale, nella misura del 40% per l’anno 2015, del 45 % per il 2016 e del 50% a decorrere dal 2017.

In particolare, ai sensi del comma 8 dell’art. 9 ter del D.L. n. 78/2015, lo sforamento del tetto di spesa avrebbe dovuto essere certificato entro il 30 settembre di ciascun anno fino al 2019, da parte del Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il successivo comma 9 ha inoltre stabilito che l’eventuale sforamento del tetto di spesa da parte delle Regioni debba essere rimborsato dalle aziende fornitrici di dispositivi medici in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici da parte della Regione interessata dallo sforamento del predetto tetto, competendo alle Regioni/Province autonome stilare la lista dei soggetti destinatari del payback e, conseguentemente, adottare i provvedimenti di ripiano.

Il payback dei dispositivi medici, pur essendo stato introdotto nel nostro ordinamento sin dal 2015, non è stato di fatto mai reso operativo, sia per il ritardo nella determinazione dei tetti di spesa e per la mancata certificazione dell’eventuale sforamento da parte del Mistero della Salute, sia per le evidenti e ragionevoli difficoltà di ricostruire a ritroso i dati per ciascuna Regione.

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