In Sierra Leone, l’ospedale per mamme e bambini alimentato con il Sole, contro la precarietà energetica- Corriere.it

2022-12-08 11:59:50 By : Ms. Anna lou

di Katia D’Addona02 dic 2022

È un sole dannato e ambiguo quello che si abbatte sulla Sierra Leone, già dilaniata negli ultimi decenni dall’epidemia di Ebola e dalle violenze della guerra civile: distrugge raccolti, prosciuga le scarse risorse idriche, esacerba focolai di malattie infettive come la febbre di Lassa, letale fino al 92 per cento se colpisce donne in gravidanza o che hanno appena partorito. Eppure, è proprio a loro e ai bambini, che in questo Paese occupano il triste podio mondiale (dopo il Chad e la Somalia) per tasso di mortalità, che il sole sta mostrando l’altra faccia, più benevola. La si vede nell’ospedale materno-infantile di Kenema, uno dei tre distretti orientali della Sierra Leone, aperto nel 2019 dalla ong Medici Senza Frontiere grazie soprattutto all’energia data dai pannelli solari .

Nell’ospedale materno-infantile di Kenema, aperto nel 2019 da Medici Senza Frontiere, in un territorio dove il servizio elettrico è precario, l’energia solare garantisce un’autonomia fino al 65 per cento

Per quanto l’aumento della temperatura di 1,2 gradi rispetto ai livelli preindustriali abbia un impatto globale, le conseguenze non sono omogenee in tutto il mondo. Fra le altre cose, il caldo ha provocato nei Paesi africani una diminuzione dei posti letto disponibili negli ospedali che solo nell’area occidentale e centrale del Continente dovrebbero riuscire ad accogliere 58 milioni di persone che si trovano in una situazione di grave insicurezza alimentare. L’impegno degli Accordi di Parigi del 2015 di uno sforzo comune nell’aiutare i Paesi che hanno poche risorse per difendersi dalle conseguenze della crisi climatica è arrivato nell’agenda di tanti operatori umanitari prima che in quelle dei governi. Ma il sole talvolta illumina anche realtà che infondono calore al nostro senso di umanità. «Sentivo di dover ricambiare quello che la vita mi ha offerto e di aiutare chi non ha avuto le mie stesse opportunità».

di Amilcare Porporato, Marta Tuninetti, Gabriele Villarini

Dolores Gambale è un’infermiera di 28 anni, rientrata da poco dalla Sierra Leone dove per 5 mesi ha supportato il lavoro di Msf. Proprio in quell’ospedale di Kenema acceso dall’energia della nostra stella. «Abbiamo pensato a un sistema ibrido», spiega Simone Primosich, ingegnere di Msf e responsabile del progetto: «L’impianto è composto da oltre duemila pannelli solari montati in parte a terra e in parte sui tetti delle strutture che ospitano i pazienti, da quattro generatori alimentati a diesel e batterie con due sistemi di backup per l’energia elettrica ».

L’ospedale di Kenema (Foto Msf)

In un territorio dove il servizio elettrico è discontinuo e precario, costruire una struttura ospedaliera autonoma dal punto di vista energetico equivale a riempire le lacune del sistema sanitario nazionale. Nei centri di soccorso spesso è difficile se non impossibile garantire continuità anche nella somministrazione dell’ossigeno . Ci sono giorni in cui l’elettricità è garantita per due o tre ore, altri solo una. Un problema ovviato dal nuovo ospedale ultimato lo scorso gennaio con il completamento del reparto materno, attraverso l’utilizzo dell’energia solare che garantisce un’autonomia energetica fino al sessantacinque per cento. Quando il sole è abbastanza alto, i generatori vengono automaticamente spenti e si attiva l’energia solare immagazzinata dai pannelli, ma anche dalle luci esterne e dai boiler per la lavanderia. «Alle spalle c’è un complesso sistema di monitoraggio e controllo», prosegue Primosich. «Da una delle sedi operative di Msf a Bruxelles, riescono a registrare la quantità di kilowatt consumati al giorno dall’ospedale. In dieci anni questo sistema permetterà di risparmiare dalle mille e cinquecento alle duemila tonnellate di CO2». E di registrare un importante ritorno economico pari 40 mila euro sottratti alla spesa per il diesel e investiti nella complessa organizzazione assistenziale che caratterizza la struttura.

In media i bambini e le madri che arrivano all’ospedale di Kenema autonomamente o accompagnati da operatori di Msf rimangono nella clinica per circa un mese. La maggior parte di loro è affetta da casi molto gravi di denutrizione o disidratazione per cui vengono inseriti in un programma di graduale integrazione di tutti gli elementi necessari a un’alimentazione sana ed equilibrata. Accanto all’intervento strettamente medico, vengono organizzate sessioni pomeridiane di rieducazione alimentare dove le mamme apprendono principi e abitudini fondamentali per una nutrizione adeguata e completa a partire dalle materie prime reperibili nel territorio e considerando le poche risorse economiche disponibili.

Le giornate dei bambini sono scandite da cure mediche e momenti di gioco guidati da un play therapist che coinvolge anche le mamme in modo da aiutarle a relazionarsi con i loro figli , a partire dal loro codice culturale. «Se alcuni insegnamenti sono abituati a trasmetterli cantando o ballando, cerchiamo di seguire le loro tradizioni», racconta Dolores. «La prima missione di Msf è parlare con loro, dare supporto psicologico, aiutarli a vivere meglio rispettando e valorizzando la loro cultura». Una cultura schiacciata dai comportamenti dei Paesi industrializzati ma che comprende la necessità di superarli con nuovi strumenti. «M olte comunità in cui lavoriamo comprendono l’importanza di passare a soluzioni energetiche più sostenibili utilizzando anche le competenze locali», sottolinea Iñaki Goicolea, responsabile del team Msf Energia e Hvac. Al punto da permettere all’ospedale di Kenema di porsi come apripista per altri tre ospedali della Repubblica Democratica del Congo, in uno dei quali l’utilizzo dell’energia solare copre il cento per cento del fabbisogno.